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mercoledì 28 novembre 2018
UNICEF TRUFFA? ATTENZIONE!
LA GRANDE TRUFFA DELL’UNICEF: I SOLDI DELLE OFFERTE? IL GROSSO E’ DESTINATO A STIPENDI FARAONICI, VIAGGI E VILLE DI LUSSO E SONTUOSE CAMPAGNE PUBBLICITAIRE.
I dati che ci arrivano sono davvero spaventosi, e se confermati, potremmo quasi osare dire di trovarci davanti ad una vera e propria truffa.
In Italia, solo per gli stipendi e le campagne promozionali si brucia quasi la metà dei soldi raccolti.
Per non parlare dei costi delle strutture, che proprio in Italia sono tra i più elevati, basti pensare solo alle megaville che Unicef possiede a Roma.
Altra stranezza riguarda il fatto che, in Italia, Unicef non destini nemmeno un euro dei suoi soldi ai piccoli profughi che giungono sulle nostre coste. Eppure in altri parti del Mondo Unicef è molto attivo in tal senso.
Il punto è che i soldi di Unicef Italia, nel nostro paese, finiscono quasi tutti bruciati tra costi dell’associazione e burocrazia.
Senza dimenticare che il comitato centrale di Ginevra gestisce quest’associazione mondiale senza dare conto a nessuno, senza lasciare libertà di scelta ai singoli comitati nazionali.
Basti pensare che, un paio di anni fa, alcuni consiglieri Unicef proposero a Ginevra di destinare almeno il 5% dei soldi raccolti ai bambini indigenti italiani. Ma da Ginevra non è mai giunta nessuna risposta!
In pratica la filiale italiana viene semplicemente usata come “cassa” alla quale attingere per finanziare i progetti nel Terzo Mondo.
E intanto i donatori italiani continuano a subire una vera e propria truffa!
Unicef: fondi destinati a campagne pubblicitarie, ville e stipendi dei dirigenti
La filiale italiana dell’Unicef viene usata dai vertici di Ginevra come se fosse un bancomat. Si prelevano soldi per la realizzazione di vari e svariati progetti, ovunque, tranne che in Italia.
Non si è mai vista una bandiera Unicef in nessuno tra le migliaia di sbarchi in Sicilia, Calabria e Sardegna. Oltre mezzo milione di bambini, spesso non accompagnati, accolti dai volontari e da altre associazioni non governative. Dove è l’Unicef così attivo in qualsiasi emergenza umanitaria in qualsiasi parte del mondo?
Dagli anni ’70 ad oggi sono stati raccolti dal Comitato italiano Unicef oltre 2 miliardi di euro, ma per l’assistenza ai bambini italiani o ai figli degli immigrati sbarcati sulle nostre coste non è stato speso neanche un centesimo.
Tra l’altro, la povera Italia non ha neanche mai alzato la cresta, né preteso alcunchè dai vertici Ginevra. Per paura di vedersi revocato lo status, forse, ma comunque si è sempre limitata ad eseguire gli ordini senza partecipare ai comitati e senza proporre propri progetti. Perciò solo raccolta fondi senza alcun benefit, questo fa la sede italiana.
Ma allora i soldi dove vanno a finire se i bimbi italiani e quelli italiani acquisiti muoiono di fame? Negli stra-stipendi, nelle mega-ville e nelle super-campagne. Sì, superlativi, perché superlative sono le somme di danaro di cui stiamo parlando. Nel 2015 sono stati spesi in campagne promozionali e strutture circa 20 milioni di euro, su 55 ricavati. La sede centrale di Roma è un complesso di due enormi ville collegate tra loro da un ponticello pedonale, con una tecnologicissima sala conferenze e dei sotterranei con tanto di scavi archeologici dell’età imperiale annessi e connessi. Con ricevimenti e pranzi - cene luculliani!
L’analisi della dinastia dei presidenti del comitato italiano di certo non giova alla situazione. A predisporre il restauro fu il Presidente Giovanni Micali, costretto alle dimissioni poco dopo per una strana manovra di Palazzo. A lui subentrò Antonio Sclavi, consigliere del Monte dei Paschi di Siena e proprietario di varie panetterie in Toscana. Poi ci fu Vincenzo Spadafora, pupillo di Micali, poi quello che era stato vice presidente amministrativo dell’ente, Giacomo Guerrera, detto lo “sparagnino”, eletto per il rotto della cuffia. A Guerrera piace così tanto la poltrona che ha fatto di tutto per allungare il suo mandato di un anno, modificando uno statuto considerato intoccabile fino ad oggi.
Che in quest’anno in più riesca a destinare qualche soldo ai bambini che muoiono di fame sul nostro territorio, oppure vogliamo fare altri lavori alla villa?
FONTE: https://www.mag24.es/2018/09/27/la-grande-truffa-dellunicef-i-soldi-delle-offerte-il-grosso-e-destinato-a-stipendi-faraonici-viaggi-e-ville-di-lusso-e-sontuose-campagne-pubblicitaire/
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TE NE FREGHI? FAI L'EGOISTA? DICI CHE NON TI RIGUARDA? VA BENE! TRANQUILLO.. MA.. STAI ATTENTO: UN DOMANI POTREBBERO ARRESTARTI, PURE A TE, CHIUDERTI IN GALERA E BUTTARE VIA LA CHIAVE! INNOCENTE ALL'ERGASTOLO... COME MASSIMO BOSSETTI! CONDANNATO ALL'ERGASTOLO PER L'OMICIDIO DI YARA GAMBIRASIO DI BREMBATE DI SOPRA. Ma è INNOCENTE!!!!!!
Come vincere alla lotteria oppure vincere un soggiorno gratis.. all'ergastolo! SEGUI QUI LE ISTRUZIONI:
Per sapere la storia, non distorta da TV e giornali, vai nella pagina di questo mio blog, pubblicata poco tempo fa. Oggetto: il libro di CARLO INFANTI e la ricostruzione VERA dell'accaduto.
CLICK QUI>>> https://misterlobofofinho.blogspot.com/2018/11/omicidio-yara-gambirasio-bossetti.html
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P. S. - esistono prove documentate che la ragazza non è stata affatto tre lunghi mesi in quel campo. Per saperne di più leggi aprendo l'altra pagina di questo Blog, qui in basso. |
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Dobbiamo scendere in piazza ITALIANI! Se ci tenete alla vita e quella dei VS cari: TUTTI A ROMA il 5 dicembre '18
ANDREA CASTELLANI
Se tieni alla tua vita e a quella dei tuoi cari TUTTI A ROMA il 5 dicembre '18
Se tieni alla tua vita e a quella dei tuoi cari TUTTI A ROMA il 5 dicembre '18
E' QUESTIONE DI SOPRAVVIVENZA! SVEGLIA! RIVOGLIAMO LA NOSTRA SOVRANITA'! NON PIU' SCHIAVISMO SOTTOMESSI ALLE BANCHE! (prosegue nel video qui)
Chi è Andrea Castellani, il guru degli esseri umani “sovrani” di sé stessi
Una trentina di persone si è radunata oggi al Palazzo di Giustizia di Torino per manifestare la propria solidarietà nei confronti dei due genitori arrestati dalla polizia per avere rapito il proprio figlio di 7 anni dalla comunità cui era stato affidato. I manifestanti si sono radunati fuori dall’aula dove si sta celebrando a porte chiuse un’udienza del processo. A guidarli è Andrea Castellani (anzi: andrea nato castellani, come si fa chiamare) una sorta di guru che da qualche anno si occupa di insegnare (dietro compenso) come diventare sovrani indipendenti.
Chi sono gli esseri umani sovrani
Stando a quanto si sente in uno dei video girati dalla madre durante un confronto con la Polizia e postati su Faceebok la coppia di coniugi seguiva gli insegnamenti di Castellani.
giovedì 22 novembre 2018
DAL 1945 AD OGGI 20-30 MILIONI GLI UCCISI DAGLI USA
DAL 1945 AD OGGI 20-30 MILIONI GLI UCCISI DAGLI USA
Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
Italia
21 NOV 2018 —
Manlio Dinucci
Nel riassunto del suo ultimo documento strategico – 2018 National Defense Strategy of the United States of America (il cui testo integrale è segretato) – il Pentagono sostiene che «dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati uniti e i loro alleati hanno instaurato un ordine internazionale libero e aperto per salvaguardare la libertà e i popoli dalla aggressione e coercizione», ma che «tale ordine viene ora minato dall’interno da Russia e Cina, le quali violano i principi e le regole dei rapporti internazionali».
Completo ribaltamento della realtà
storica. Il prof. Michel Chossudovsky, direttore del Centre for Research on
Globalization, ricorda che questi due paesi, classificati oggi come nemici,
sono quelli che, quando erano alleati degli Stati uniti durante la Seconda
guerra mondiale, pagarono la vittoria sull’Asse nazi-fascista
Berlino-Roma-Tokyo con il più alto prezzo in vite umane: circa 26 milioni
l’Unione Sovietica e 20 milioni la Cina, in confronto a poco più di 400 mila
degli Stati uniti.
Con questa premessa Chossudovsky
introduce su Global Research un documentato studio di James A. Lucas sul numero
di persone uccise dalla ininterrotta serie di guerre, colpi di stato e altre
operazioni sovversive effettuata dagli Stati uniti dalla fine della guerra nel
1945 ad oggi: esso viene stimato in 20-30 milioni. Circa il doppio dei caduti
della Prima guerra mondiale, di cui si è appena celebrato a Parigi il
centenario della fine con un «Forum della pace».
Oltre ai morti ci sono i feriti, che
spesso restano menomati: alcuni esperti calcolano che, per ogni persona morta
in guerra, altre 10 restino ferite. Ciò significa che i feriti provocati dalle
guerre Usa ammontano a centinaia di milioni.
A quello stimato nello studio si
aggiunge un numero inquantificato di morti, probabilmente centinaia di milioni,
provocati dal 1945 ad oggi dagli effetti indiretti delle guerre: carestie,
epidemie, migrazioni forzate, schiavismo e sfruttamento, danni ambientali,
sottrazione di risorse ai bisogni vitali per coprire le spese militari.
Lo studio documenta le guerre e i colpi
di stato effettuati dagli Stati uniti in oltre 30 paesi asiatici, africani,
europei e latino-americani. Esso rivela che le forze militari Usa sono
direttamente responsabili di 10-15 milioni di morti, provocati dalle maggiori
guerre: quelle di Corea e del Vietnam e le due contro l’Iraq. Altri 10-14
milioni di morti sono stati provocati dalle guerre per procura condotte da
forze alleate armate, addestrate e comandate dagli Usa, in Afghanistan, Angola,
Congo, Sudan, Guatemala e altri paesi.
La guerra del Vietnam, estesasi a
Cambogia e Laos, provocò un numero di morti stimato in 7,8 milioni (più un
enorme numero di feriti e danni genetici generazionali dovuti alla diossina
sparsa dagli aerei Usa).
La guerra per procura negli anni
Ottanta in Afghanistan fu organizzata dalla Cia che addestrò e armò, con la
collaborazione di Osama bin Laden e del Pakistan, oltre 100 mila mujaidin per
combattere le truppe sovietiche cadute nella «trappola afghana» (come dopo la
definì Zbigniew Brzezinski, precisando che l’addestramento dei mujaidin era
iniziato nel luglio 1979, cinque mesi prima dell’invasione sovietica
dell’Afghanistan).
Il colpo di stato più sanguinoso fu
organizzato nel 1965 in Indonesia dalla Cia: essa fornì agli squadroni della
morte indonesiani la lista dei primi 5 mila comunisti e altri da uccidere. Il
numero dei trucidati viene stimato tra mezzo milione e 3 milioni.
Questo è «l’ordine internazionale
libero e aperto» che gli Stati uniti, indipendentemente da chi siede alla Casa
Bianca, perseguono per «salvaguardare i popoli dalla aggressione e
coercizione».
(il manifesto, 20 novembre 2018)
ASSISTI AL VIDEO RELATIVO:
https://www.youtube.com/watch?time_continue=48&v=VWaY7POzJHU
mercoledì 21 novembre 2018
Omicidio Yara Gambirasio. Bossetti innocente. Colpevole/i individuati con prove!
Quando, a seguito di numerose prove schiaccianti e documentate, il vero assassino/i è intoccabile/i.. e a piede libero, si allarga il campo degli attori: "Padrino"/mafia, malavitosi, sette e omertà... Ecco che prende forma l'ipotesi della ricerca di un capro espiatorio e, di conseguenza, un innocente in galera.
Questo innocente si chiama MASSIMO BOSSETTI.
DA TENERE PRESENTE: individuare l'assassino materiale o i suoi complici non basta: occorrerebbe sapere, soprattutto, chi sono i mandanti e il movente. Quale movente? E qui si aprirebbe un capitolo a parte, con delle ipotesi da film del terrore!
26 Settembre 2018
"Questo processo è durato anni e costato cifre folli, pertanto se si trattasse di un errore giudiziario, questo, comporterebbe la fine di alcune eccellenti carriere nella procura di Bergamo, per non perdere la faccia... la condanna di un presunto innocente è la scelta più facile...se ben ricordate, quel mentecatto lurido di Alfano, celebrava l'arresto dell'assassino in tv, ore prima che Bossetti venisse prelevato al cantiere, in sintesi... questa storia è marcia fin dal primo giorno di indagine, e dubito che i genitori della povera yara possano sentirsi davvero soddisfatti." (A. F.)
VIDEO del 03/10/2018
Questo innocente si chiama MASSIMO BOSSETTI.
DA TENERE PRESENTE: individuare l'assassino materiale o i suoi complici non basta: occorrerebbe sapere, soprattutto, chi sono i mandanti e il movente. Quale movente? E qui si aprirebbe un capitolo a parte, con delle ipotesi da film del terrore!
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Massimo Bossetti, il libro sconvolgente di Carlo Infanti sull'omicidio di Yara Gambirasio: chi è il vero assassino.
26 Settembre 2018
"So di aver trovato molti elementi che se presentati in aula durante i processo, forse Massimo Bossetti non sarebbe in galera". Nel nuovo libro "Nel nome del popolo italiano" di Carlo Infanti, già consulente della difesa del muratore di Mapello condannato per l'omicidio di Yara Gambirasio, emerge una nuova sconvolgente ipotesi su chi possa essere il vero assassino.
Dal lavoro di analisi degli elementi trovati ormai due anni fa, Infanti ha maturato la consapevolezza che quelle informazioni avrebbero potuto aiutare in modo determinante la difesa di Bossetti. Su Dagospia, l'autore spiega: "Non è dignitoso sapere che il Dna estrapolato dai leggings e degli slip della giovane Yara, non ha rispettato le procedure previste dal nostro Codice di procedure penale, come è preoccupante scoprire che i consulenti della procura, incaricati di analizzare i Dna raccolti, sbaglino l'analisi del Dna di Natan Gambirsaio. Un Dna - spiega Infanti - raccolto con un tampone sterile in quantità abbondante e conservato in una provetta sterile, c'è da domandarsi come abbiano fatto a non sbagliare quello di Ignoto 1 che certamente era per quantità molto inferiore, per qualità degradato e per giunta misto. Come non è dignitoso trovare documenti che dimostrano che Yara è certamente stata rivestita".
L'elenco degli elementi raccolti è sterminato, dettagliatissimo e Infanti sfida anche a sottoporlo agli addetti ai lavori per dimostrare che si sbaglia. Infanti sottolinea errori e mancanze che di fatto "tolgono dignità alla sentenza" contro Bossetti: "Non accontentatevi - dice ai lettori - leggete il mio libro, verificate ogni singolo passaggio e scoprirete che chiedere dignità nei processi e nelle sentenze partendo da quelli di Massimo Bossetti non è solo un semplice schieramento tra innocentisti e colpevolisti, ma un dovere civile".
(FONTE: CLICK QUI
Il libro di Carlo Infanti. Scomodo libro e per questo boicottato e nascosto! LEGGI L'ULTIMA PARTE QUI DI SEGUITO ASCOLTA QUI L'INTERVISTA A CARLO INFANTI (37'): Per chi è fissato sul DNA e non conosce bene il tutto, vai QUI e leggi dopo le prime pagine preliminari
PRENDETEVI UN PO’ DI TEMPO E LEGGETE
L’ESTRATTO DEL LIBRO DI CARLO INFANTI “IN NOME DEL POPOLO ITALIANO” SUL CASO
GIUDIZIARIO SU MASSIMO BOSSETTI IN CUI, SOTTO FORMA DI ROMANZO, SI OFFRE UN’IPOTESI
MOLTO PRECISA (E SCONVOLGENTE) SU CHI ABBIA UCCISO YARA GAMBIRASIO (nella foto sotto)
- INFANTI E’ STATO CONSULENTE DELLA DIFESA DI BOSSETTI E LA SUA TEORIA SI BASA SU DOCUMENTI, INDIZI, RICOSTRUZIONI E VERIFICHE: “SO DI AVER TROVATO MOLTI ELEMENTI CHE SE PRESENTATI IN AULA DURANTE I PROCESSI, FORSE BOSSETTI NON SAREBBE IN GALERA..." Buona lettura e buona visione, ma.. ricordate: COMPRATE IL LIBRO E LEGGETE TUTTO! Gran parte del ricavato sarà devoluto in beneficenza alla famiglia di Bossetti.
26.09.2018
(per ingrandire il testo nella lettura: tenete premuto "ctrl"e cliccate più volte su + (più),
mentre con il click sul segno - (meno), si torna a rimpicciolire)
CARLO INFANTI - IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Spesso mi trovo a rispondere alla domanda “perché hai voluto scrivere
questo libro”, e mi rendo conto che ogni volta la risposta cambia, credo che
questo sia dovuto al desiderio di compiacere l’interlocutore. Di fondo però la
vera ragione è: un senso di inquietudine nel sapere di aver lavorato tanto
sulle carte e di aver travato molti elementi che se presentati in aula durante
i processi, forse Massimo Bossetti non sarebbe nelle patrie galere.
Confesso che questi elementi io li ho trovati oltre 2 anni fa, ho
sottoposto le mie relazioni ai famigliari di Massimo Bossetti, pur cosciente
che poco potevano fare loro, ma nella speranza invece che sottoponendole il 26
settembre 2016 alla difesa molto avrebbero potuto fare, invece, a quel che
risulta a me, delle mie relazioni, nulla è stato fatto dagli avvocati della
difesa in questi due anni, da qui la consapevolezza che se non scrivevo un
libro questi risultati delle mie analisi sarebbero rimasti nel cassetto a vita.
Allora perché non scrivere un libro e portare a conoscenza di tutti questi
elementi? Credo che questo sia il vero motivo che mi ha spinto a scrivere il
libro IN NOME DEL POPOLO ITALIANO. Ora che il libro è uscito un’altra ragione
ha preso il sopravvento sulla prima ovvero “ridare dignità ai processi e a alle
sentenze”.
Non è dignitoso sapere che il DNA estrapolato dai leggings e dagli slip
della giovane Yara, non ha rispettato le procedure previste dal nostro Codice
di Procedura Penale, come è preoccupante scoprire che i consulenti della
procura, incaricati di analizzare i DNA raccolti, sbaglino l’analisi del DNA di
Natan Gambirasio, un Dna raccolto con un tampone sterile in quantità abbondante
e conservato in una provetta sterile, c’è da domandarsi come abbiano fatto a
non sbagliare quello di Ignoto 1 che certamene era per quantità molto
inferiore, per qualità degradato e per giunta misto. Come non è dignitoso
trovare documenti che dimostrano che Yara è certamente stata rivestita.
Potrei andare avanti in questo lungo elenco di elementi che già singolarmente
tolgono dignità ai processi e alle sentenze contro Massimo Bossetti. A pochi
giorni dall’uscita del mio libro le reazioni sono state delle più disparate,
dallo scetticismo più becero, che porta alcuni a ipotizzare una mia forma di
megalomania che mi avrebbe spinto a scrivere cose non esatte, fino allo stupore
più sfrenato tanto da portare lettori a passare notti insonni.
Per buona pace di tutti vorrei che il mio libro diventasse lo strumento per
arrivare ad una verità che se non può essere processuale, possa almeno essere
morale, per questa ragione vi invito a non fermarvi alle parole, cercate le
verifiche, leggete il libro e poi chiedete agli addetti ai lavori di dimostrare
anche loro, come ho fatto io con documenti veri, che “Infanti sbaglia”.
Un esempio su tutti. Qualcuno ha provato a chiedere all’avvocato Salvagni
(della difesa Bossetti) se fosse vero che mancano le notifiche sui leggings e
sugli slip di Yara, e come mai non avessero avanzato richiesta di nullità. La
sua risposta è stata: noi abbiamo sollevato sin da subito tutte le nullità,
facendo intendere che avessero sollevato anche nullità per la mancanza delle
notifiche sugli esami dei leggings e degli slip, salvo poi, su invito mio di
mostrare i documenti che dimostrino ciò, inviare un passaggio della sentenza di
primo grado dove i giudici scrivono che le parti sono state ritualmente
avvisate come prevedono le norme di legge.
Ebbene nel libro io già faccio notare che quella dichiarazione è inesatta e
toglie molta dignità a quella sentenza, ma quello che più mi sconcerta è che
l’avvocato non invia alcun documento dove lui fa una richiesta di nullità sul
caso specifico oppure anche solo una notifica su quegli indumenti, ciò a
riprova che anche le mancate notifiche sono un fatto vero.
Quindi non accontentatevi, leggete il mio libro, verificate ogni singolo
passaggio e scoprirete che chiedere dignità nei processi e nelle sentenze
partendo da quelli di Massimo Bossetti non è solo un semplice schieramento tra
innocentisti e colpevolisti, ma un dovere civile.
CAPITOLO NOVE. IL ROMANZO, INDIZI CONVERGENTI E CONCORDANTI DAL LIBRO “IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO” DI CARLO INFANTI
Voglio essere sincero: non ho mai capito perché dopo la maturità classica,
scelsi di iscrivermi a Giurisprudenza. Adesso che ci penso, fui influenzato da
un pensiero di Re Agesilao II il quale, papale papale, un giorno scrisse: “Dove
troverai le leggi più numerose, lì troverai anche le più grandi ingiustizie.”
Il titolo della mia tesi di laurea? In nome del Popolo Italiano. Era una
provocazione, naturalmente. Scelsi questo tema perché un giorno vidi effigiata,
sulla copertina di un importante settimanale italiano, una vignetta con la
tradizionale bilancia della Giustizia posta sul muro di un’aula di un tribunale
italiano, e la scritta: La legge è uguale per tutti. Appena sotto la bilancia,
ecco il titolo della vignetta: Umorismo italiano!
Il mio percorso in facoltà fu molto buono, con ottimi voti. Anche la mia
tesi di laurea fu convincente, al punto di ottenere un insperato 110, cum
laude, e l’onore della pubblicazione! Dopo la laurea e la relativa abilitazione
con l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati, ecco il momento della scelta:
applicarmi nel Civile o nel Penale? Entrare in Magistratura Inquirente o
Magistratura Giudicante? Bella domanda!
Alla fine ho scelto di applicarmi nella Magistratura Civile. Pentito?
Certo. Avrei dovuto scegliere il Penale. Psicologicamente è un’altra emozione.
Ma ormai è troppo tardi!
Alle prese ogni giorno con contratti, mutui, separazioni e divorzi,
risarcimento danni, responsabilità professionale, dopo alcuni decenni di
durissimo e diuturno lavoro, mi trovo spesso a invidiare i colleghi della
Procura Penale della città dove lavoro.
Non che il loro lavoro sia tutto rose e fiori, intendiamoci. Ma sul piano
personale le soddisfazioni sono diverse.
Serata in pizzeria
Settimanalmente, con alcuni colleghi delle Procura delle città vicine alla
mia, ci troviamo per la tradizionale pizza del sabato sera. Mai più di dieci e
in territorio neutro. E quasi sempre la nostra meta è una pizzeria della
pianura padana, intendendo con questo termine un paesino sperduto della bassa
bergamasca.
I clienti abituali come noi del locale, ormai ci conoscono bene. Spesso ci
accolgono con un applauso! Non era così le prime volte quando addirittura
sembravano intimoriti dalla nostra presenza. Il padrone di casa ci ha
affibbiato fin da subito un soprannome: “I Dieci Comandamenti!” L’unica persona
che manca tra questa ormai non più improvvisata combriccola, è un prete!
Sarebbe stato il massimo. Tra di noi anche la presenza di quattro colleghe:
Allegra, Zelinda, Calliope e Chiara. Gli altri 4 colleghi li identificherò
durante il racconto.
Parliamoci chiaro: le donne presenti in Magistratura sono un elemento
fondamentale. Dirette, tenaci, determinate, non mi meraviglio più quando a loro
il Procuratore Generale affida alcuni reati importanti da perseguire. Certo, mi
fa sempre sensazione sentirle parlare con termini tipo: reato connesso, persona
informata sui fatti, mandato di cattura e via discorrendo.
Soprattutto Chiara che non dovrebbe fare il magistrato. Non perché non sia
brava, anzi, credo che sia un fenomeno, ma la sua bellezza è un’istigazione a
delinquere per molti uomini, che pur di essere indagati da lei potrebbero
commettere qualsiasi reato. Anche ammirarle con la toga mi fa sempre un certo
effetto. Ma vedendole tutte eleganti, truccate, disinvolte, sicure di sé quando
sono in compagnia con noi, vi assicuro che la sensazione cambia, è certamente
diversa.
Maledizione! È mai possibile che anche davanti a una pizza fumante si debba
sempre parlare di lavoro? Io me ne sto quasi sempre in silenzio. A chi possono
interessare le separazioni o l’eredità? Ma ormai è troppo tardi per cambiare.
Soprattutto quando siamo in prossimità di una sentenza della Suprema Corte di
Cassazione, come nel caso del delitto avvenuto nella bergamasca ormai quasi una
decina di anni fa, e che è diventato un argomento gettonatissimo. Una storia
incredibile!
In carcere, ad attendere la sentenza della Suprema Corte di Cassazione,
dopo l’ergastolo comminato prima dalla Corte d’Assise di Bergamo e
successivamente confermato dalla Corte d’Assise d’Appello di Brescia, Massimo
Giuseppe Bossetti. La vittima? Una ragazzina di nome Yara Gambirasio di Brembate di sopra, in provincia di Bergamo.
Un simile caso non poteva certo non accendere la fantasia dell’opinione
pubblica. Lei, la classica ragazzina che studia dalle suore. Adorata dalle
amiche e dalle insegnanti, ama lo sport, nel nostro caso la ginnastica
artistica, e che ha tutta la vita davanti a sé per sognare e amare.
Lui, il classico bergamasco di mezza età, tutto lavoro, famiglia e nessuna
distrazione di troppo. Di non eccelsa statura, che colpisce è lo sguardo di
ghiaccio. Un mix incredibile tra carnefice e vittima, perfetto per accendere la
passione tra il pubblico schierato in egual misura tra innocentisti e
colpevolisti.
Non essendoci nel nostro gruppo di magistrati dei colleghi impegnati nel
processo a Massimo Giuseppe Bossetti, questo intricato caso giudiziario è stato
più volte da noi dibattuto davanti alla solita pizza fumante. A proposito di
pizza, la mia preferita è la quattro stagioni. Pazienza se poi il cameriere mi
ribadisce ogni volta che le quattro stagioni non ci sono più.
Anche tra noi esiste lo schieramento tra innocentisti e colpevolisti.
Alcuni sono ferocemente critici per le spese ingenti supportate dai cittadini
per le indagini, soprattutto per le analisi del Dna. Altri sono convinti che
tutto quanto è stato trovato per accusare Massimo Bossetti, e riportato nelle
motivazioni delle due sentenze di condanna all’ergastolo, non trova riscontro
nei fatti con la certezza assoluta.
Perché, allora, si è giunti nei due processi alla condanna dell’imputato?
Secondo i colleghi i motivi sono molteplici, non ultimo quello che dopo un
simile sforzo di mezzi, di persone e di tempo, un colpevole bisognava pur
trovarlo! In questo caso chi meglio di Massimo Giuseppe Bossetti? Persino nel
fisico incarna l’ “assassino perfetto” di una giovane e bella ragazzina.
Senza parlare della stampa. Un male necessario. Ma alcuni particolari,
certi giudizi, alcune informazioni, potevano risparmiarcele. La prova del Dna,
se è vero che è una prova scientifica, perché ha diviso così fortemente
l’accusa e la difesa, oltre che l’opinione pubblica? Ma, soprattutto, perché
negare all’imputato una super perizia?
La scienza non può essere un semplice atto di fede. La scienza va sempre
messa in discussione, va verificata, controllata, contestata. Non solo: deve
anche essere dimostrata. Non mi sembra che nei due processi la qualcosa sia
avvenuta.
Sabato scorso, nel viaggio di ritorno verso casa, a notte fonda, ho
riflettuto sul dibattito nato tra noi proprio a proposito del delitto
bergamasco. La sentenza della Suprema Corte di Cassazione è ormai alle porte.
Logico e scontato parlare anche dell’esito possibile della sentenza, veramente
capitale, per il Bossetti.
Scoprii, con un certo stupore, che solo due dei miei colleghi sono convinti
che la sentenza all’ergastolo sarà confermata. La sorpresa non è per l’esigua
minoranza colpevolista, ma per la sconcertante motivazione addotta. “Anche solo
far rifare il processo, significherebbe ammettere di aver sbagliato indagine.
Immagini il casino che scatenerebbe una simile decisione?”
Allora la condanna del Bossetti rappresenta più la difesa della categoria,
ovvero della Magistratura nella sua interezza, e non la convinzione che
l’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio.” sia colpevole? Per fortuna
quasi tutti rifiutavano l’idea della difesa della categoria. Quelli convinti
che la Cassazione deciderà di far rifare il processo, identificano nella
controversa analisi del Dna la motivazione vera.
Curiosamente, però, nessuno di essi ha posto l’accento sul movente, del
quale non si vede traccia negli atti del processo e nelle motivazioni delle
sentenze. Sulla dinamica del delitto, nessuna ipotesi. Il luogo dell’avvenuto
crimine? Idem. Tutte domande nemmeno poste. Per non parlare di indagini su
piste alternative; quali sono state prese in considerazione dagli inquirenti?
Ritorno a casa
Mezz’ora di viaggio ed eccomi a casa. Saluto mia moglie, sempre in paziente
attesa del mio ritorno, e faccio un salto nelle stanze dei nostri figli: un
maschio e una femmina. Lo faccio sempre per accertami che non abbiano fatto
tardi. Tutto questo sotto lo sguardo preoccupato della moglie.
“Ma sei rincoglionito? Che cosa hai
bevuto, cosa hai mangiato?”, sono alcune battute che periodicamente l’amata
consorte mi lancia. Che stupido! Da alcuni anni siamo sposati e forse presto
saremo nonni! Poi subito a letto. Il mattino dopo mia moglie mi sveglia di
brutto guardandomi stranita.
“Ma che razza di sogno hai fatto
stanotte? Sei troppo stressato. Abbiamo bisogno di riposo entrambi. Che ne dici
se partiamo per una crociera, sempre promessa e mai compiuta?” “Perché se sono
io lo stressato parli al plurale?”, faccio io di rimando. Era ovvio che il suo
vero interesse non era la mia salute ma la crociera. “Dammi subito il mio block
notes e la penna prima che mi scordi quanto ho sognato”.
Non so quanto sia vera l’affermazione di Arthur Schopenhauer quando annotò
sul suo diario che: “La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli
in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.” Sarà bene, comunque, che lo
trascriva per poi rileggerlo in bell’ordine il breve sogno di questa notte,
interrotto sul più bello dal risveglio “inopportuno”!
Non ho alcun dubbio che quanto ora vi racconto, è frutto di un sogno, una
fantasia. Ma, secondo la teoria freudiana “i sogni sono desideri,” che,
generalmente, sono tratti dagli episodi più recenti della vita quotidiana.
Ora, visto che è un sogno, questi ricordi dovrei sfogliarli a caso per
tener fede all’aforisma di Schopenhauer sopra citato. Però mi rendo conto che
riflettono un caso reale. Ma tant’è. Faccio di necessità virtù e così
scoprirete che alcune volte lo racconterò a ruota libera scrivendo immagini
parziali, altre volte come in un film. Starà a voi riordinarli nella vostra
mente.
Il "Sogno"
La prima immagine che ricordo del sogno è quella di una stanza di ospedale
dove una donna attende di partorire. Visibilmente preoccupata, già sa che sarà
un parto gemellare. La data di quel giorno è annotata in bella mostra sulla
cartella appoggiata sul comodino: il 28 ottobre 1970. Solo in sogno può
avvenire che lo sguardo si posi su un foglio posto sul tavolo in Procura dove
appaiono, in bell’ordine alfabetico, un elenco di cognomi e nomi con a fianco
la data di nascita. Alla lettera “B” ecco il nome di Bonaldi Giacomo, nato il
28 ottobre 1970.
Un nome fra i tanti. Accanto al fascicolo dei nomi trovo una cartella con
scritto sul frontespizio: Sommarie Informazioni Testimoniali (S.I.T.). L’ apro
ed ecco un foglio con scritto ancora il nome di “Bonaldi Giacomo, nato il 28
ottobre 1970 e residente in via Rampinelli 40, a Brembate di Sopra (Bg).”
Improvvisamente, sempre in sogno che quasi mai segue una logica basata sul
luogo e sul tempo, vedo una siepe nel giardino del civico numero 40 di via
Rampinelli di Brembate di Sopra.
Al di là della siepe una ragazzina che fa esercizi di ginnastica artistica.
Sorride e saluta due ragazzi: uno dalla apparente età di circa 20 anni; l’altro
un probabile suo coetaneo. C’è anche un terzo ragazzo, giovanissimo di circa
8-9 anni, non certo residente in quella casa perché chiede ai presenti il
permesso di giocare. Con uno stacco netto dalla scena, mi trovo nella sede
della Polizia Stradale di Bergamo dove l’Ufficiale più alto in grado dava
lettura di una informativa sulle vetture transitate per le vie adiacenti al
Centro Sportivo di Brembate di Sopra.
Con l’ausilio di un televisore, ecco apparire sullo schermo, l’orario di
transito di un veicolo sul quale non era stata posta una particolare
attenzione: un Pick-up grigio.
Veloce consultazione della targa dello stesso ed ecco il nome del
proprietario: un’azienda di Infissi d’Alluminio di proprietà dei fratelli
Bonaldi: Giacomo, Giulio e Nicol. Certo che in sogno certe concordanze appaiono
quantomeno curiose. La stessa vettura, successivamente nel sogno, mi appariva
ferma in via Rampinelli in Brembate di Sopra tra i numeri 40 e 48. L’orario?
Tra le 18.30/18.40 .
Chissà quanto dura un sogno? Forse nei sogni il tempo non esiste.
Frutto della nostra psiche, tutto appare come un susseguirsi di avvenimenti a
volte senza capo né coda. Come quando in uno dei tanti sogni mi trovai di colpo
alla guida della mia vettura e sono superato da un corteo di macchine dei
Carabinieri e della Polizia a sirene spiegate. “All’Isola, all’Isola!” urla un
militare alla guida di una di esse, a un suo collega che lo aveva affiancato.
“Oh, mio Dio! Ma di quale isola
stanno parlando?” Penso a Montisola, sul lago d’Iseo che dista una quarantina
di chilometri. Ho difficoltà a seguire le ululanti vetture dei militi in
divisa. Per fortuna il corteo di macchine rallenta la folle corsa. Poi, di
colpo si spengono le sirene e guardandomi attorno scopro da un cartello
stradale che non c’è nessuna isola da visitare nei dintorni. Siamo
semplicemente a “Chignolo d'Isola”! Alla periferia del paese, in un campo che
sembra da tempo abbandonato, mi aggrego al corteo di persone che si addentrano
a piedi per raggiungere un posto dove fa capannello un gruppo di militari e
civili.
Ritrovamento di Yara
Mi avvicino non senza difficoltà. Un Carabiniere mi chiama Dottore, e si
offre di accompagnarmi. Allora è vero che nella maggior parte dei casi, alla
gente, la nostra professione appare stampata in faccia. In un silenzio irreale
vedo il corpo di una ragazza ridotta quasi a uno scheletro, supina, con le
braccia in alto sopra la testa, le gambe divaricate e un ciuffo d’erba tra le dita.
La identificano dei vestiti che indossa.
Quando torno verso la mia vettura, capto uno scambio di battute tra due
poliziotti. Uno di essi chiede al collega: “Secondo te Yara è qui da tre mesi o
l’hanno portata lì dopo?” Il secondo agente risponde: “Dopo… dico… dopo lì!”,
indicando il luogo del ritrovamento. Quindi, gli inquirenti avevano il sospetto
che la piccola ginnasta non era morta in quel campo?
Proprio mentre spero di scoprire dove fosse stata tenuta la ragazza prima
di arrivare in quel luogo, mi sveglio di soprassalto! È sempre così, sul più
bello si spegne tutto. Annoto quanto ho sognato e aspetto sabato prossimo per
informare i colleghi dello strano sogno. Strano mica tanto.
In azione
Quando li informo, portando con me gli appunti (piuttosto scarsi), sorridono.
“Si vede che fai il civile. Hai almeno letto le carte del processo?”, rimbecca
Chiara guardando gli altri miei colleghi. Certo, rispondo piccato. In realtà
non era vero, ma non potevo certo dirle che stavo riflettendo sulla base di un
sogno. “Delle carte cosa ti ha colpito maggiormente?” rilancia Chiara. “Il
cattivo uso della lingua italiana”, rispondo secco. Risata generale.
A parte gli scherzi. Sono rimasto colpito dall’enorme quantità di documenti
e di lavoro che hanno prodotto alla Procura. Mi domando come può aver fatto il
pool della difesa a leggere e studiare più di 60.000 pagine di documenti, di
intercettazioni, di perquisizioni, di Sommarie Informazioni Testimoniali
(S.I.T.) e quant’altro, in 20 giorni, e depositare delle memorie difensive adeguate
alla vasta indagine perseguita dalla Procura di Bergamo?
In 20 giorni non sarebbe neppure possibile fare le fotocopie delle 60.000
pagine! Non parliamo poi della preparazione al processo. In soli 4 mesi il pool
della difesa dovrebbe studiare i documenti frutto del duro lavoro di oltre 4
anni portato a termine da centinaia di Poliziotti, dai Carabinieri, dalla
Guardia di Finanza, dai consulenti tecnici, i periti e il lavoro della Polizia
Giudiziaria in toto. Senza contare le inchieste dei giornalisti!
Troppo grande il divario di tempo e di mezzi concesso alla Procura a
differenza di quello a disposizione della difesa, per poter pensare di
affrontare un processo paritario. A questo punto sorge logica la domanda: la
Procura ha avuto modo di indagare su altre piste alternative, come vuole la
legge, senza nulla togliere all’immane lavoro da loro compiuto? Quanto sopra
appena descritto, potrebbe indurre una Suprema Corte di Cassazione a invalidare
il processo? Temo proprio di no! Tutti annuiscono.
“Scusa”, interviene la collega
Zelinda scettica come sempre e con quel tono inquisitorio che non la abbandona
mai. “Come fai ad essere così informato su questo aspetto delle Indagini?”
“Cari colleghi”, affermo con un tono tra il serio e il faceto “ho scoperto delle
fonti sicure e conosco aspetti che voi nemmeno immaginate”. Risata generale!
“Racconta, racconta”, dicono in coro. “Come si chiama l’uccellino che ha
cinguettato?” “Calma, tutto a suo tempo”.
Inutile dire che sono incuriositi da quell’ipotetico uccellino. Tutti
mi guardano allibiti. In verità loro pensavano che io avessi veramente
conosciuto un informatore e non potevano immaginare che quello che dicevo loro
era solo il frutto di sogni, di semplici sensazioni e di qualche dato raccolto
qua e là.
Come ben sapete il nuovo codice di Procedura Penale permette alla difesa di
compiere indagini atte a sostenere le proprie ragioni difensive. Però mi dovete
spiegare come sia stato possibile alla difesa leggere e soprattutto studiare
60.000 pagine di documenti prodotti dalla Procura in così poco tempo. Mi
domando anche quali indagini difensive avrebbe potuto compiere la difesa in un
tempo così ristretto.
Si può solo sperare che l’abbia fatto la Procura, che abbiano lavorato
scrupolosamente senza tralasciare nessuna pista alternativa. Sulla
determinazione della Procura di Bergamo nell’accusare Massimo Giuseppe Bossetti
non ho alcun dubbio. Ma che abbiano anche indagato a fondo piste alternative
qualche dubbio ce l’ho.
La “Prova Regina”
“La “Prova Regina”, mi è sembrato di capire, sulla quale appoggia
tutto il processo è quella del Dna. Ora, da quanto ho sentito nella sentenza mi
sembra che sia inoppugnabile il fatto che il Dna di “Ignoto 1” porti senza
ombra di dubbio a Massimo Giuseppe Bossetti!”, afferma il collega Claudio
Donati, per gli amici Cloude, considerato uno dei più ostinati inquirenti della
Magistratura Italiana.
Rincara Chiara rivolgendosi a Claudio: “Sbaglio o, se ben ricordo, la mamma
del Bossetti, Ester Arzuffi giurava e spergiurava di non aver mai avuto
rapporti sessuali con quel Giuseppe Benedetto Guerinoni, il cui patrimonio
genetico accoppiato con quello della mamma del Bossetti porta a “Ignoto 1”?”
Rivolgendosi a me: “Ammetterai che è stata una figuraccia. Assolutamente
indifendibile mi sembra… Se vuoi spiegaci questo incantesimo genetico.” E tutti
in coro: “Sentiamo ora il magistrato civilista cosa ci racconta… O l’uccellino
non ti ha ancora detto nulla?” Interviene a mia difesa la collega Calliope:
“Forse la signora Arzuffi non ha mentito del tutto. Infatti , mi sembra di
ricordare, che il patrimonio genetico della mamma del Bossetti, non ci sia in
toto in “Ignoto 1”. Almeno mi sembra!”
Improvvisamente mi ritorna alla mente il sogno di quella donna, era un
parto gemellare questo lo ricordo bene, ma quanti gemelli? Perché poi
inaspettatamente il sogno si sposta su quel foglio con l’effige della Procura
di Bergamo, con il nome di Bonaldi Giacomo nato il 28 ottobre 1970? Mentre sono
perso nei miei pensieri sento che la collega Calliope dice una frase che
interrompe per un attimo le mie riflessioni. “E se fosse un fratellastro”?
Ripartono come un treno i miei pensieri. E se ci fosse un terzo gemello? E se
la signora Arzuffi stesse mentendo per nascondere un segreto più grande di un
semplice tradimento? Credo che la cessione di un figlio senza darlo in
adozione, oltre a essere ripugnante sotto l’aspetto morale, lo è anche sotto il
profilo legale.
Per fortuna questa ipotesi restò solo nei miei pensieri. Con i colleghi
cercai di sviare affermando che non sono certo le notizie ormai note a tutti
che mi lasciano perplesso. Penso, invece, che avrebbero dovuto approfondire
meglio certi fatti e molti particolari che mi sembra non siano stati nemmeno
presi in considerazione.
“Ad esempio?”, interviene a
sorpresa la collega Allegra che, contrariamente al suo nome, vive le
vicissitudini della quotidianità come le peggiori catastrofi al mondo. “Hanno
scoperto l’ipotetica mamma di “Ignoto 1”, ribatto io, “dopo 3 giorni hanno
arrestato il presunto colpevole. Una fretta quanto meno strana. Non hanno
nemmeno minimamente pensato di intercettarlo e magari anche pedinarlo. Nemmeno
la presunta mamma di “Ignoto 1” hanno voluto indagare, per conoscere meglio chi
fosse. Io avrei approfondito meglio i trascorsi della signora Arzuffi. Nulla di
ciò, almeno mi pare, è stato fatto. Individuata lei è stato subito arrestato
lui”.
“Beh in effetti è strano.” interviene Hanry, per gli amici “il
Giorgi”, un semplice diminutivo del suo cognome Giorgini che appare
informatissimo sull’argomento. “Che il nome di Massimo Giuseppe Bossetti non
figuri in nessuna dichiarazione tra le migliaia raccolte nelle Sommarie
Informazioni Testimoniali (S.I.T.), o tra le centinaia di segnalazioni anonime.
Nè tantomeno il suo nome era accostato al nome di Yara Gambirasio. Non solo.
Tra i famigliari, amici, insegnanti e conoscenti della ragazza, il nome di
Massimo Giuseppe Bossetti non è mai citato nemmeno lontanamente.”
Ormai erano passati quasi quattro anni dal delitto e lui il Bossetti
continuava la sua vita tranquillamente. Perché non prendersi qualche giorno per
approfondire meglio chi era? Mi rendo conto che questo argomento fa breccia in
quasi tutti i miei colleghi tranne la solita scettica Zelinda che ribatte: “Ma
cosa c’era da indagare, scusa. Trovano che il Dna della donna è identico a
quello della mamma di “Ignoto 1”, che guarda caso conosceva il padre
dell’assassino e per giunta, per andare al lavoro prendeva tutti i giorni
l’autobus che guidava il padre di “Ignoto 1”? Lo capirebbe anche un bambino che
si è trattato di un tradimento in piena regola!”
I gemelli Bossetti !
A questo punto scatta come una molla Ivan La Manna, del quale credo di aver
sentito la sua voce forse due volte in tutti gli incontri fatti in pizzeria.
Non si può certo affermare che sia un trascinatore. Eppure, è l’unico che non
manca mai. Quando gli mandiamo un messaggio dopo 10 secondi ha già risposto.
Lui è sempre presente. Forse perché, non essendo sposato, gode di quella
immensa libertà che noi nemmeno possiamo immaginare.
“Scusa Zelinda”, - interviene Ivan,
“a questo punto ti devo interrompere. Pochi mesi fa, leggevo un articolo sul
settimanale Oggi a firma di Giangavino Sulas. A proposito del
concepimento di Massimo Giuseppe Bossetti, scriveva testualmente:
“Contrariamente a quanto affermato durante il processo di primo grado, il
consulente della signora Arzuffi ha dimostrato che la famiglia Bossetti si è
trasferita da Gorno, in alta Val Seriana, a Brembate di Sopra nel maggio del
1969.” Ma i gemelli Bossetti sono nati a fine ottobre del 1970; quindi la
signora Arzuffi da molto prima del concepimento già non viveva in valle e
soprattutto non prendeva l’autobus. La teoria del rapporto occasionale, come
descritto durante il processo di primo grado, è assolutamente infondata con
tanto di prove.”
Quanto appena esposto da Ivan La Manna mi parve subito estremamente
interessate. Non tanto per la superficialità con cui la signora Arzuffi era
stata trattata da tutti, ma perché la teoria del fratellastro o di un terzo
gemello mi parve subito ancor più plausibile e per niente bizzarra. Ricordo che
improvvisamente mi domandai: allora Bonaldi Giacomo, nato il 28 ottobre 1970,
come Massimo Giuseppe e Letizia Bossetti, guarda caso vicino di casa di
Yara Gambirasio, cosa c’entrava?
Chiara
Pagato il conto alla romana, come da consolidata prassi, saluto i
colleghi e mi dirigo verso la mia autovettura, quando giunto a pochi metri da
essa sento la voce di Chiara:
“Stai già andando a casa?”Alla mia
risposta affermativa, neanche il tempo di finire la frase che mi pone la
domanda: “Tua moglie come sta? I ragazzi? Saranno anche cresciuti ormai.”
Ammetto che mi parve molto strano. Non immaginavo nemmeno che lei sapesse che
avevo due figli. Infatti, non ricordavo di averle mai parlato della mia
famiglia durante le cene con i colleghi. E nemmeno mi ricordavo di aver avuto
il piacere di confrontarmi neppure per motivi di lavoro. Anche se, lo ammetto,
mi sarebbe piaciuto molto.
Risposi con aria soddisfatta, che ormai loro si erano fatti grandi ed erano
entrambi sposati e che, forse, tra poco sarei diventato nonno. “Bellissimo! La
vita passa veloce!” risponde Chiara. Poi, inaspettata, ecco una affermazione
che ha avuto l’effetto di un fulmine a ciel sereno. “Come mai questo tuo
interesse per la vicenda Bossetti?” Bella domanda! In verità non me l’ero
mai posta. Certo non potevo giustificarmi con la storia dei sogni ricorrenti
sull’argomento. La mia risposta fu sincera. Le dissi che, forse, non avevo mai
smesso di pentirmi di non aver scelto la Magistratura inquirente, invece di
fare il Magistrato giudicante nel civile.
Preoccupante e chiarissima la sua risposta di rimando: “Non lasciarti
troppo coinvolgere dal processo a Massimo Giuseppe Bossetti. Potresti
ritrovarti in qualche casino senza accorgerti.” “Perché mi dici questo, le
replicai?” Era palese che sapesse cose che io ignoravo. Non tanto nel merito
del processo e sulle relative indagini, ma su quanto ruotava attorno al quel
processo e a tutta la vicenda. Ma erano semplici sensazioni le sue o c’era di
più? Il suo guardarmi fisso negli occhi mi dava la conferma che, forse, era
qualche cosa di più di una mia sensazione. Chiara mi tranquillizzò subito
quando mi disse: “Sono solo sensazioni. Ma se vuoi dei documenti so chi può
procurarteli.” Le risposi di no, promettendole che avrei sicuramente meditato sul
suo avvertimento. La salutai con un certo imbarazzo e presi la via del ritorno
a casa.
Ritorno di Infanti a casa - La moglie e la camomilla
Durante il ritorno mi feci molte domande. Fantasticavo e cercavo di capire.
Arrivai a casa dopo più di un’ora invece dei soliti 20 minuti. Non volevo
interrompere il sogno a occhi aperti che si era creato nella mia mente. Mi
chiedevo il perché di quella data del 28 ottobre 1970, identica tra il
vicino di casa di Yara Gambirasio e i fratelli gemelli Massimo Giuseppe e
Letizia Bossetti. E poi quel Pick-up della ditta di infissi. Poi le domande di
Chiara. Tutto mi ruotava in testa come una pallina di roulette.
Arrivai a casa percorrendo la solita strada, le solite luci, la solita
casa, la solita moglie. Questa volta però, stranamente, era già a letto, ancora
sveglia. Nemmeno il tempo di mettere la testa sul cuscino che subito mi
addormentai. Quando mi svegliai era ancora notte fonda. Vidi la luce accesa in
cucina e non trovai accanto mia moglie. Poco dopo la vedo rientrare in
camera con una fumante tazza di camomilla. Ero ancora nel dormiveglia. È
bastato però che aprisse bocca per risvegliarmi dal torpore dal quale mi
sentivo ancora prigioniero. “Come hai detto che si chiamava quello psicologo al
quale ti eri rivolto alcuni anni fa?” “Perché mi fai questa domanda?”, risposi
biascicando le parole. “Perché non hai fatto altro che girarti e rigirarti nel
letto pronunciando frasi senza senso.”
Mentre mi porse la camomilla, le chiesi se ricordasse le mie frasi
senza senso. “Parlavi di una telefonata anonima, piume di galline, di un
furgone bianco, un pollaio, ripetevi sempre un nome Sulas. Domani cerca
l’indirizzo dello psicologo e poi andiamo a fargli visita.” “Ecco, brava, - gli
ribattei -. Domani lo cerco e poi andiamo insieme a fargli visita.” Prendo il
block notes e annoto subito le parole pronunciate da mia moglie.
Sopraffatto dal sonno mi riaddormento. Come quasi sempre avviene, il sogno non
riprende da dove si è interrotto. Anzi: quasi sempre non riprende proprio!
Risveglio al mattino, a mente fresca
La mattina dopo, rileggendo gli appunti, tento di ricostruire quel sogno, o
se preferite quell’incubo. È sempre prodigioso riuscire a ricostruire, anche
parzialmente, un sogno, una sensazione. Ricordo una cabina telefonica e un
nome: Andrea Zilioli. Il suo nome non mi diceva nulla di particolare, avevo
solo la sensazione che fosse un personaggio molto conosciuto nella zona.
Benestante, mi pareva di ricordare che avesse a che fare con Giulio Bonaldi.
Poi ecco il furgone, come quello di Massimo Giuseppe Bossetti, che scaricava in
un container di raccolta rifiuti le macerie di laterizi, proprio nella azienda
Andrea Zilioli. Ricordavo poi una fattoria con tanti animali e vedevo Giulio
Bonaldi, con altre persone, accanto a un pollaio popolato di galline,
anatre, oche e altri animali da cortile.
Solo un attimo il ricordo va su alcune fotografie riproducenti delle
piume con la dicitura: “Reperto numero...”. Ricordo nel sogno una pizzeria dove
Giulio Bonaldi ordinava 3 pizze e il viso del pizzaiolo che perplesso gli
domandava: “Giulio, stai bene? Ti vedo molto agitato. Cosa ti è successo?”.
Mentre continuavo a prendere appunti, mi sono ricordato di un pensiero di Mohandas Karamchand Gandhi, meglio conosciuto come Mahatma Gandhi: “Non permetterò a nessuno di passeggiare nella mia mente con i piedi sporchi.” Strano accostamento su quanto stavo annotando sul block notes.
Netto, invece, il ricordo di un furgone bianco che percorreva le strade
della bergamasca. Non era però come quello di Massimo Giuseppe Bossetti che
avevo visto centinaia di volte alla tv durante le innumerevoli trasmissioni
sull’argomento. Era, invece, un furgone chiuso, che viaggiava per le strade
della bergamasca ed entrava in un cantiere. Mi riaffiora poi nella mente
il nome di Sulas, lo stesso del giornalista del quale ci aveva parlato Ivan La
Manna la sera precedente. Veloce ricerca sul computer e scopro che aveva
scritto molti reportage sul processo a Massimo Giuseppe Bossetti. Inutile la
ricerca dell’articolo del quale aveva parlato Ivan.
Trovo, invece, 2 articoli del sopracitato giornalista del settimanale Oggi,
che illustravano nuove piste inerenti al processo, uno dei quali aveva per
titolo:
“La pista dei due Imprenditori. Per trovare la ragazza cercare alla Z.A.” Incredibile l’altro articolo di Giangavino Sulas: “Yara, la difesa parte dal mistero delle tre piume.” Non poteva essere solo un caso quanto avevo appena letto. Troppe cose combaciavano tra i miei sogni e questi articoli. Paradossalmente gli stessi mi aiutavano a mettere ordine nei miei sogni.
Scriveva Sulas: “Sugli indumenti di Yara
non sono stati trovati solo sette capelli con cinque Dna maschili ancora
sconosciuti (…), ma Cristina Cattaneo repertò anche tre piume provenienti,
vista la forma e le dimensioni, da volatili da cortile. Interessanti perché
attorno al corpo della ragazza e nel campo di Chignolo non ne sono state
trovate altre. Le hanno lasciate i gabbiani o le cornacchie forse presenti
nella zona? O sono di volatili domestici come galline, anatre o oche?
Come, dove e perché sono finite sotto indumenti di Yara? (…) E se così fosse dove sarebbe stata tenuta? In un pollaio? In una cascina con galline e altri animali da cortile?” (* una ipotesi, che spiega uno dei possibili "perché", è riportata in fondo a questa pagina; in poche parole: e se fossero state collocate apposta, dall'assassino e complici, per lasciare un messaggio occulto esoterico? ndr)
"Nel
cantiere di Mapello - continuava il giornalista di Oggi - sul quale, malgrado
tutte le smentite, il Pubblico Ministero Letizia Ruggeri qualche sospetto
doveva averlo se il 25 febbraio 2011, 24 ore prima del ritrovamento di Yara,
aveva affidato l’incarico di indagare ancora all’archeologo forense Dominic Salsarola?"
LA PRIGIONE DI YARA "Queste piume potrebbero indicare il luogo dove il corpo di Yara, almeno per un certo periodo, è stato tenuto? (…) Su un campo in località Ghiaie di Bonate di Sopra dove nel 2010 venivano allevate galline, oche, anatre e persino pavoni. Anche perché la piccola fattoria era gestita dal signor G.B., del quale ci siamo occupati nel numero scorso di Oggi, e da altre due persone, su un terreno di proprietà di una nota famiglia di Brembate legata da una solida amicizia a Fulvio Gambirasio, il papà di Yara, e al titolare della “Z.A.”, l’azienda posta di fronte al cantiere di Mapello, indicata come prigione di Yara.” Ecco quelle iniziali dei nomi G.B. come Giulio Bonaldi e Z.A. come Zilioli Andrea, non potevano essere solo un caso. Infatti, cercando l’articolo della settimana precedente scritto da Giangavino Sulas, tutto il quadro mi parve molto più chiaro e, soprattutto, mi confermava che i miei sogni avevano un fondamento reale. Forse mia moglie non ha tutti i torti: un buon psicologo potrebbe davvero aiutarmi. Decido di leggere tutto l’articolo pubblicato dal settimanale Oggi, nel numero precedente. Già il titolo mi appariva rivelatore: “La pista dei due imprenditori. Per trovare la ragazza cercare alla Z.A.”. La telefonata anonima
Ecco quanto apparso sul settimanale Oggi. “Il 6 dicembre 2010. Sono le 19h
14’ 25”. Yara è scomparsa da dieci giorni. Al 113 arriva una chiamata anonima
da una cabina pubblica di via Campofiore a Villa d’Almè, grosso paese a pochi
chilometri da Brembate. Parla una voce maschile. Poche parole ma una
indicazione precisa. La Z.A.” (sono le iniziali del fondatore di questa ditta) è
una azienda di Brembate Sopra che si occupa di smaltimento di materiali di
scarto dell’edilizia. Il telefonista anonimo è un mitomane? Uno sciacallo? O sa
qualcosa di importante? La Polizia in quel momento è fuori dalle indagini,
affidate ai Carabinieri perché la denuncia per la scomparsa di Yara era stata
presentata alla caserma dell’Arma di Ponte San Pietro.”
“Ma naturalmente - continuava l’articolo di Giangavino Sulas - il
questore Enzo Ricciardi passa l’informazione ai Carabinieri. E i militari non
perdono tempo. La mattina dopo, 7 dicembre, alle 10.10 stanno già ascoltando il
titolare della “Z.A.”. L’azienda attira la loro attenzione anche perché ha sede
proprio di fronte all’ingresso del cantiere di Mapello, lo stesso dove pochi
giorni prima, il 29 novembre, tre cani molecolari avevano condotto gli
inquirenti fiutando le tracce di Yara. (ditelo a quella giornalista addormentata, dal nome Fiorenza Sarzanini del Corriere della sera. ndr)
Alla “Z.A.” per la verità i Carabinieri erano già stati. Il 3 e il 4 dicembre, per controllare le immagini registrate dall’impianto di videosorveglianza ma avevano scoperto che erano state cancellate 48 ore prima (!!!). Sarebbe stato molto importante sapere quali automezzi erano transitati in zona nelle ore in cui Yara spariva. (!) Un muratore marocchino al cantiere
Anche nel cantiere di Mapello erano iniziati i controlli perché il 4
dicembre, due giorni prima della telefonata anonima, era stato fermato il
muratore marocchino Mohamed Fikri che, la notte in cui Yara svaniva nel nulla,
era in cantiere con il datore di lavoro Roberto Benozzo e il custode Federico
Anni.
Il cellulare di Fikri, messo sotto controllo, fece sobbalzare l’interprete marocchina della Procura. In due telefonate colse due frasi shoccanti: “Dio mio non l’ho uccisa io…”, “… L’hanno uccisa davanti al cancello…”.
“In quel momento venimmo a conoscenza di due notizie che ignoravamo.
Che Yara fosse stata uccisa e che l’omicidio fosse stato compiuto davanti al
cancello del cantiere.”, dirà a caldo un ufficiale dei Carabinieri.
Dopo un iter giudiziario durato quattro anni e dopo ben 16 traduzioni, spesso contrastanti, affidate a ben 50 interpreti, il marocchino fu prosciolto. Urla atroci nella sera Intanto il titolare della “Z.A.” viene sentito anche perché non solo la sua ditta è di fronte al cantiere ma lui vive e abita ad Ambivere proprio lungo la strada sulla quale Cinzia Fumagalli, l’unica testimone considerata attendibile nell’intera inchiesta, raccontò che la sera del 26 novembre vide sfrecciare un furgone bianco e sentì l’urlo straziante di una ragazza. Certamente è solo casuale, anche se rispondendo alle domande l’uomo qualche incertezza la mostra. Dichiara infatti che il 26 novembre dalle 10 del mattino in poi era stato a Selvino dove aveva partecipato a un rally automobilistico. Si era fermato a dormire nel suo camper ed era tornato a casa la domenica 28”. “In realtà quel Rally - continua il cronista del settimanale OGGI - non si è corso il venerdì 26 ma il giorno dopo. Forse faceva confusione tanto che si affretta a precisare la sua versione dicendo che a Selvino era andato non al mattino ma la sera del 26 per portare il camper e che verso le 19 era tornato in azienda e poi a casa a cena. E non era più uscito. Un suo dipendente conferma la versione ma i loro cellulari sembrano dire una cosa diversa. Quel giorno infatti si collegano alla cella di Selvino solo attorno alle 15 e poi alle 23, ma alle 19 agganciano la cella di via Marconi a Ponte San Pietro, e alle 19.13 quella di via Natta a Mapello, la stessa che copre l’abitazione di Bossetti e la palestra di Yara. Quest’uomo ha un amico, G.B., socio di una ditta di infissi a 300 metri dalla palestra di Yara, una ditta che possiede tre furgoni Ducato bianchi, due chiusi e uno con cassone, tutti con le scritte pubblicitarie sulle fiancate. Val la pena di ricordare che la signora Fumagalli aveva parlato di un furgone bianco con scritte laterali che non era riuscita a identificare. Anche G.B., interrogato, dirà ai Carabinieri che la sera del 26 novembre dopo essere andato a trovare il fratello che abita vicino a casa Gambirasio, non era più uscito. Aggiunge che della sparizione di Yara aveva saputo il giorno dopo”.
Pizzaiolo, cliente. La gaffe
“Ma il 14 ottobre 2011 - concludeva il suo dettagliato articolo Gian Gavino
Sulas
- Abozeid Mustafa Mohamed, titolare di una pizzeria a Barzana, interrogato dai Carabinieri dichiarò: “Venerdì 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara, ricordo di essere stato al lavoro nella mia pizzeria e la sera stessa della scomparsa sono venuto a conoscenza della notizia grazie a un mio cliente che era venuto a cena. Il suo nome è G.B.”. Quindi G.B. quella sera era uscito e sapeva già della scomparsa di Yara? Ma non ne erano informati solo la famiglia, le insegnanti di ginnastica e, dopo le 20.30, i Carabinieri di Ponte San Pietro? Domande rimaste senza risposta.”
“A un certo punto Z.A., G.B. e altri
personaggi di Brembate, dei quali parleremo nelle prossime settimane, infatti,
sono usciti dal mirino degli inquirenti. Sicuramente non hanno niente a che
fare con l’omicidio ma il loro profilo genetico è stato confrontato con i
cinque Dna ricavati da sette capelli maschili trovati sotto la maglietta di
Yara e i due sui guanti? Tutti appartenenti a sconosciuti. Dalle carte non
risulta. Forse perché il corpo di Yara è stato trovato tre mesi dopo e su
queste persone era calato l’oblio.”
Fin qui l’articolo di Giangavino Sulas. LA RICOSTRUZIONE DEL PUZZLE
A questo punto non mi restava che provare a mettere ordine tra le immagini
dei miei sogni con l’aiuto degli articoli di Sulas, conscio che tutto andava
verificato, controllato e approfondito. La validità di una pista alternativa
non può certo essere solamente fondata su dei sogni o degli articoli di un
settimanale, per quanto autorevole. Decisi, comunque, di provarci. Presi il
block notes con gli appunti, gli articoli di Sulas e un pò di fogli bianchi e
cominciai a scrivere una possibile pista alternativa.
Sono le 18.30/18.40 del 26 novembre 2010. Come ogni sera Giulio
Bonaldi passa a casa del fratello Giacomo, in via Rampinelli 40, per andare a
prendere il figlio con il Pick-up grigio intestato alla società. Si ferma
davanti alla casa del fratello per circa 2 minuti, attorno alle 18.40.
Successivamente compie una inversione di marcia e riparte in direzione della
palestra da dove era uscita Yara. Il cielo è piovoso e Giulio, incrociando
Yara, decide di offrirle un passaggio. Yara Gambirasio non ha motivo di
rifiutare quell’ invito; conosce bene quell’uomo. Accetta e sale sulla sua
vettura. Tutte le sere, infatti, Giulio passa in via Rampinelli, al civico 40,
a prendere suo figlio.
Lui, Giulio Bonaldi, l’ha vista crescere Yara, e ora che è
un’adolescente perché non farle una battuta? In fondo si sa come sono le ragazze
d’oggi, a 13 anni hanno già il fidanzatino. Yara, però, non è come le altre.
Lei è diversa, concentrata com’è sulla scuola, la ginnastica e la sua famiglia.
Quella battuta di Giulio è di troppo, fino al punto di sentirsi molestata. Si
spaventa e comincia a gridare di farla scendere, è presa dal panico. Giulio
teme che ora riportarla a casa potrebbe essere un pericolo. Di sicuro
racconterebbe tutto al padre che lui conosce bene. La deve calmare, deve
allontanarsi da quella zona, in qualche modo deve nasconderla almeno fino a
quando non si è calmata e gli garantisce di non dire nulla in casa.
Purtroppo più si allontana e più la piccola Yara è spaventata e grida.
Occorre farla tacere. Con un colpo alla testa la stordisce impedendole così di
continuare ad urlare. Ormai anche Giulio è nel panico e non può certo girare
con la ragazzina sul Pick-up. Decide così di andare nella sua azienda, che a
quell’ora è chiusa, e trasferire Yara su uno dei suoi furgoni bianchi.
Con la ragazza svenuta, caricata nel furgone, deve cercare aiuto. Si reca così
dal suo migliore amico Giuseppe Zilioli, proprietario della ditta Zilioli
Andrea, sita proprio di fronte a quel cantiere dove i cani molecolari avevano
fiutato la presenza di Yara.
Con Giuseppe si conoscono bene; tutti i giorni si vedono per passare
qualche ora assieme dopo il lavoro. Purtroppo Giuseppe Zilioli non è nella sua
azienda. Giulio decide così di cercarlo presso la sua abitazione, che si trova
nel comune di Ambivere, esattamente in quella via dove la signora Fumagalli
dice di aver visto un furgone bianco sfrecciare ad alta velocità, e dal quale
avrebbe sentito le urla di una ragazzina che chiedeva aiuto. Non avendolo
neppure rintracciato a casa, Giulio torna sui suoi passi e si reca nelle
vicinanze della ditta Zilioli Andrea e più precisamente nel cantiere di Mapello
dove, trovando libero accesso, si rifugia in attesa dell’arrivo del suo amico.
In quel cantiere lavora anche un altro amico di Giulio, Pietro Tarrone,
magazziniere di una grande azienda la LOPAV, che ha in appalto i lavori di
costruzione del centro commerciale. Pietro Tarrone gestisce assieme a Giacomo
Bonaldi, fratello di Giulio e altri amici fidati una piccola fattoria con
piccoli animali da cortile come galline, conigli oche anatre pavoni ecc ecc.
Tarrone si trova al cantiere di Mapello
per ritirare degli elicotteri usati
proprio in quei giorni per levigare le recenti gettate di cemento dei nuovi
pavimenti, e può certamente aiutare Giulio. Finalmente dopo qualche minuto
arriva anche l’amico Giuseppe Zilioli che propone a Giulio di nascondere il
corpo della piccola Yara.
Troppo pericoloso tenerla nel furgone o portarla altrove; a quell’ora,
19.30 circa il traffico è ancora molto intenso. Meglio occultarla nella sua
azienda, magari in un container, tra le macerie dell’edilizia proprio in quel
container dove avevo visto in sogno Massimo Giuseppe Bossetti svuotare il suo
furgone. Avrebbero potuto recuperarla nelle ore notturne e occultarla da
qualche altra parte.
Questo particolare del container con il materiale di
scarto di lavori edilizi scaricati da Massimo Giuseppe Bossetti, potrebbe anche
ben giustificare la presenza del Dna di Yara sul lembo degli slip, che si
trovava all’esterno dei leggins. Non è un segreto che lo stesso Bossetti ha più
volte dichiarato che soffriva spesso di epistassi e tutti i fazzolettini
intrisi di sangue li gettava tra le macerie. Per non parlare del naturale
sudore depositato sugli stessi durante la rimozione o l’abbattimento di muri e
di calcinacci.
Ormai si è fatto tardi, la mamma di
Giulio Bonaldi, dove si reca quasi ogni sera a cenare con i figli, sarà ormai a
letto, vista la sua età e non è più il caso di andare a casa a cucinare, tanto
vale fermarsi a prendere delle pizze.
Si dirige verso Barzana per raggiungere la pizzeria che conosce bene.
Il proprietario, Abozeid Mustafa Mohamed, nota che il cliente è alquanto
agitato, e chiede a Giulio cosa stesse succedendo. Questi lo informa che aveva
saputo della sparizione di una ragazzina di Brembate di Sopra. Strano che
alle 21.00 di quel maledetto 26 Novembre 2010 Giulio già sapesse una notizia
che solo i familiari della ragazza ipotizzavano. (!)
Certo Yara non poteva restare in quel container troppo a lungo.
Sabato mattina la ditta Zilioli Andrea è aperta; quindi occorre trovare un
altro luogo. Così nelle prime ore del 27 novembre 2010, Yara viene portata alle
Ghiaie di Bonate dove Giulio, con il fratello Giacomo e l’amico Tarrone, hanno
una modesta fattoria con tanti piccoli animali da cortile. D’inverno nessuno
frequenta quel luogo, se non loro. Non è neppure tanto facile accedervi, visto
che confina con l’azienda LOPAV, completamente cintata e controllata dalle
videocamere. Un luogo ideale, dove anche se si fosse sentito l’odore di un
corpo in putrefazione, difficile visto le temperature molto basse a causa della
stagione invernale, lo stesso odore sarebbe stato coperto da quello degli altri
animali.
Per depistare comunque le eventuali indagini, meglio spogliare la
ragazzina e farle dei segni incomprensibili sul corpo così da indurre a pensare
che il tutto sia frutto di qualche setta satanica o di qualche pazzo magari
pedofilo. Alcuni vestiti tolti alla ragazzina, come il giubbino e la
felpa, sono riposti in un sacco e tenuti occultati in attesa che le acque si
calmino. Siamo ormai a metà gennaio e le ricerche di Yara non hanno dato
frutti.
Si fa largo l’ipotesi che Yara sia stata rapita e portata lontano dalla bergamasca o addirittura che il suo corpo sia stato occultato sotto il cemento del neo centro commerciale di Mapello ancora in costruzione. Improvvisamente per Giulio e i suoi amici si apre una ghiotta opportunità di farla franca, infatti, esce la notizia che un giovane ragazzo dominicano è stato ucciso e lasciato in un terreno incolto nella zona industriale di Chignolo d’Isola, ecco l’opportunità di liberarsi di quel corpo e sviare le indagini addossando la colpa magari all’assassino del giovane appena trovato.
Appena liberato il campo di Chignolo d’Isola dall’attenzione degli
investigatori e dai media, anche grazie al veloce arresto del presunto
colpevole dell’omicidio del ragazzo, il corpo di Yara è depositato in quel
campo dove vi rimarrà per oltre un mese. Il ritrovamento del corpo della
piccola Yara avverrà il 26 Febbraio 2010.
RIFLESSIONI, CONSULTAZIONI, PROVE, CONCLUSIONE
Naturalmente sono cosciente che questa ricostruzione è il frutto di sogni,
di informazioni giornalistiche e di una buona dose di fantasia. Il tutto
necessita di accurate verifiche sui documenti ufficiali. Per esempio
consultando le celle telefoniche per avere conferma degli spostamenti delle
sopracitate persone a suffragio della mia ipotesi. Occorre, inoltre,
controllare le dichiarazioni rese dai fratelli Bonaldi dallo stesso Giuseppe
Zilioli e altri ancora. Insomma, è sicuramente una ricostruzione inutile sotto
ogni profilo. Decisi, comunque, di parlarne a Chiara. Non sapevo cosa
aspettarmi da lei. Ma dopo il nostro ultimo incontro e soprattutto meditando
sulle sue parole prima di congedarci, forse era la persona meno adatta. Però mi
fido di lei.
È un amica, molto cauta e attenta ai particolari.
Il venerdì per noi magistrati è il giorno deputato per tirare le somme del
lavoro fatto durante la settimana. Per questo evitiamo, quando possibile, di
fissare udienze e appuntamenti. Mi parve il momento più opportuno per passare a
salutarla. Certo che in quell’occasione avrei potuto lasciarle lo scritto della
mia storia/ricostruzione. Così è stato. Le chiedo per telefono “udienza”, subito
concessa.
Nel pomeriggio la raggiungo in ufficio. Ancora prima che potessi aprire bocca mi dice: “So perché sei qui. È per il processo di Bossetti. Cos’altro hai saputo?” Decisi di raccontarle tutto: i miei continui sogni notturni che ormai erano diventati incubi, la verifica degli stessi con gli articoli di Giangavino Sulas e soprattutto della mia ricostruzione.
Alla fine del mio racconto non mi parve molto entusiasta. Per la verità
ebbi la sensazione che provasse un po’ di pena per me. Ero pronto a sentirmi
una dura ramanzina. Invece, si alzò dalla sua poltrona e dirigendosi dalla
parte opposta della scrivania si sedette vicino a me. Mi guardò con uno sguardo
che non avevo mai visto in lei, e con voce bassa mi disse: “Se ti fa piacere
provo a fare una telefonata al mio amico e gli chiedo una verifica della tua
ricostruzione con i documenti presenti nel fascicolo del Pubblico Ministero. Ma
non aspettarti nulla di eclatante.” Poi mi sorrise facendomi notare che da una
ora preventivata, avevamo parlato per oltre 3 ore.
Uscendo dal suo ufficio mi sentii più sollevato, anche se ero certo che da
quel momento avrei vissuto i giorni successivi in spasmodica attesa di un suo
cenno riguardo alla mia quasi onirica ricostruzione. Buco l’impegno del sabato
successivo con i colleghi, privilegiando un altro incontro più smart. Quando mi
ripresento il sabato dopo, li trovo caricati e sempre più incuriositi della
vicenda, aspettando da me nuove notizie in merito:
“Allora, civilista, cosa ci racconti di nuovo?”
La domanda me la pone Enrico, l’unico collega civilista della compagnia,
forse più posato di me ma certamente meno serio. Esordisco con la frase:
“Purtroppo il mio uccellino è volato via.” Le risate ilari e divertite di tutti
i presenti al nostro tavolo, attirarono perfino l’attenzione e la curiosità
degli altri avventori della pizzeria, combriccole di giovani compresi. Si
avvicina al tavolo anche il titolare del locale per prendere “la Comanda”, un
termine che odio in maniera feroce.
“Vedo che siete tutti di buon umore. Mi fa piacere. Prendete il
solito?” “Per lui una doppia birra, è appena stato abbandonato dal suo
uccellino” interviene Calliope, segnalandomi a dito al titolare del locale e ai
colleghi. “Ridete, pure”, dico a loro fingendomi quasi mortificato. Osservai
Chiara e mi resi conto che era particolarmente taciturna: lei non aveva neppure
partecipato a quella risata comune. La serata continuò come al solito parlando
di lavoro, naturalmente del loro lavoro, dei loro casi e nessuno quella sera
parlò più del processo a Massimo Bossetti. Questo, in un certo senso, mi
rendeva più tranquillo. Finalmente ero tornato a essere il civilista di prima,
potevo estraniarmi senza destare sospetti.
Chi però destava sospetto era proprio Chiara, che per tutta la sera non
aprì bocca.
Finita la cena, dopo i rituali saluti, mi recai alla mia macchina e come
una scena già vissuta, sentii alle mie spalle che qualcuno mi stava seguendo.
Era Chiara. Nelle mani teneva una cartellina. Mi fermai, e quando si
avvicinò le chiesi subito: “Chiara come stai?” Lei non mi rispose. Mi allungò
la cartellina e abbassò lo sguardo. Le chiesi cosa contenesse. “Quello che mi
hai chiesto, rispose senza indugio. Qui ci sono le prove che quello che hai
scritto e hai detto è tutto dimostrabile. È tutto vero e c’è anche molto di
più… Fanne buon uso.” Girò le spalle e con passo deciso raggiunse la sua
macchina e se ne andò.
Rimasi impietrito, con gambe e braccia che mi tremavano. Non ricordo per
quanto tempo rimasi lì fermo con in mano quella cartellina. Pensai solo che da
quel momento avrei dovuto fare qualche cosa. Sì, ma cosa? Sono passati ormai 2
mesi da quella serata, io ho evitato di andare alle cene del sabato sera con i
miei colleghi. In realtà non ne ho saltate molte, complice il mese di agosto.
Ormai siamo a metà settembre, tra meno di un mese la Suprema Corte di
Cassazione emetterà la sua sentenza e forse avrà messo la parola fine sul
processo a Massimo Giuseppe Bossetti.
Decisi così di riprendere a frequentare le cene del sabato sera, in quella
pizzeria della bassa padana. Ogni volta che restavamo in nove il proprietario
della pizzeria ci domandava: “Quale dei 10 comandamenti manca stasera?” Per
fortuna quella sera c’eravamo tutti. Appena arrivato mi resi conto che
l’atteggiamento dei miei colleghi era diverso nei miei confronti, mi trattavano
come uno di loro. Continuavano a stimolarmi a esprimere il mio parere su reati
penali, pronunce di altri magistrati. Per la prima volta dimenticai di essere
un giudice civilista, fino a quando Chiara mi disse che sapevano tutto, perché
li aveva messi al corrente di tutte le mie ricerche e dei miei sogni.
Fu allora che arrivò la domanda che mai avrei voluto sentirmi fare.
Fu Zelinda a prendersi l’onere di formularmela.
“ Ma poi cosa ne hai fatto di quelle informazioni?”
Le ho consegnate a un giudice, le risposi.
“Chi hai scelto come avvocato difensore?” - ribatté Chiara.
Cari colleghi, - dissi - , ricordate la frase latina Nomen Omen?
“Ti faccio notare che quasi tutti noi magistrati abbiamo fatto il Liceo
Classico. Ergo…”, interviene Ivan La Manna.
Bene. Se è vero, dunque, che nel nome c’è anche il destino, voi chi avreste scelto come avvocato? - La risata è stata fragorosa e in sintonia con tutti i colleghi presenti. -
“Di certo – interviene Calliope – non avrei incaricato l’Avvocato Massimo
Della Pena!”
Non ti sarebbe stato possibile nominarlo, - intervengo di brutto -. È un
Avvocato Civilista e lavora presso l’Università romana “La Sapienza”!
“Io avrei scelto l’Avvocato Salvatore di Gesù!”, interviene Allegra.
Errore, - rispondo - . È un avvocato di Bologna, civilista, e lavora presso
uno studio notarile.
“Allora puoi scegliere, l’avvocato
Maria Rina Grazieplena?” afferma Zelinda.
Impossibile! È, infatti, un Praticante presso uno studio di Martinsicuro,
in provincia di Teramo. Non può neppure patrocinare in Cassazione!
“Allora perché non scegliere l’Avvocato Ernesto Della Ragione!”, dice
convinto il collega Claudio Donati.
Acqua. È un Avvocato esperto in Diritto di famiglia e Diritto minorile.
“Io avrei scelto, interviene Allegra, l’Avvocato Salvatore Trombatore, con
studio a Rosolini in provincia di Siracusa. Avrei così unito l’utile al
dilettevole...”
E brava la nostra Allegra. Ma lascia che faccia un po’ di pratica.
Attualmente lavora come Praticante nello studio legale del padre.
A questo punto, cari colleghi, vi dico io chi ho scelto: l’Avvocato Giuseppe Di Dio, del foro di Bergamo. Così almeno avrò la certezza di essere giudicato da un Tribunale vero: quello del Giudizio Divino.
FINE
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Considerazioni sul luogo dove hanno tenuto nascosto il cadavere di Yara. Dopo aver ascoltato in una intervista, Carlo Infanti, dove racconta che il nascondiglio è nei pressi di un santuario, e considerato che nel paese di Ghiaie non esiste alcun santuario, ma una famosa e frequentata "Cappelletta intitolata alla Madonna delle Ghiaie" che per assiduità dei fedeli a volte è pari ad un santuario.... è sufficiente fare una ricerca aerea della zona e troviamo TUTTO quello descritto qua sopra e si riesce a spiegare perfettamente il mistero delle piume e penne ritrovate sotto la giacca a vento di Yara, anche se esiste l'altra ipotesi, ossia del collocamento volontario:
"....Yara viene portata alle Ghiaie di Bonate dove Giulio, con il fratello Giacomo e l’amico Tarrone, hanno una - modesta fattoria con tanti piccoli animali da cortile. ..... confina con l’azienda LOPAV, completamente cintata e controllata dalle videocamere. Un luogo ideale, dove anche se si fosse sentito l’odore di un corpo in putrefazione, difficile visto le temperature molto basse a causa della stagione invernale, lo stesso odore sarebbe stato coperto da quello degli altri animali.
Ecco, quindi, un ipotetico possibilissimo scenario del luogo, a Ghiaie di Bonate di sopra, dove venne occultato e custodito per almeno due mesi i cadavere della piccola Yara. Tutto combacia ed è coerente col racconto qui sopra riportato di Carlo Infanti. "Tutto questo non è bastato finora agli inquirenti bergamaschi – in prima fila la pm Maria Letizia Ruggeri – per seguire fino in fondo la pista della camorra nelle indagini finalizzate a scoprire chi ha massacrato e reso irriconoscibile il corpicino di Yara Gambirasio." (continua QUI)
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
DA SEGUIRE IL SEGUENTE VIDEO,
SOPRATTUTTO DAL MINUTO 5:00
|
CONCLUSIONE
MASSIMO GIUSEPPE BOSSETTI
E' INNOCENTE!
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Moncalvo: un libro svela nuove verità sul delitto di Brembate"Questo processo è durato anni e costato cifre folli, pertanto se si trattasse di un errore giudiziario, questo, comporterebbe la fine di alcune eccellenti carriere nella procura di Bergamo, per non perdere la faccia... la condanna di un presunto innocente è la scelta più facile...se ben ricordate, quel mentecatto lurido di Alfano, celebrava l'arresto dell'assassino in tv, ore prima che Bossetti venisse prelevato al cantiere, in sintesi... questa storia è marcia fin dal primo giorno di indagine, e dubito che i genitori della povera yara possano sentirsi davvero soddisfatti." (A. F.)
VIDEO del 03/10/2018
Secondo quanto scrive l’avvocato Carlo Infanti, nel suo libro “In nome del popolo italiano” uscito in questi giorni in libreria, la minorenne di Brembate sarebbe stata uccisa da una banda di tre persone che sono libere mentre chi è finito in galera sarebbe innocente.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
30/10/2018 - La Truffa della PM Ruggeri (Giacomo Vespo)
e... a proposito della PM Letizia Ruggeri: la ritroviamo QUI. Se ne riporta solo un piccolo passo :"....Un altro apparato molto influente è la magistratura, tribunale dell’inquisizione che persegue gli psico-reati, mentre manda assolti i veri criminali. Le forze dell’ordine e l’esercito sono poi altri cardini della dominazione: sono il braccio armato della tirannide, come garanti della repressione.
Come dimenticare poi le strutture bancarie e le multinazionali che dettano l’agenda e ‘suggeriscono’ leggi e norme funzionali ai loro biechi scopi di profitto. Al cospetto di questi soggetti, partiti, movimenti e sindacati contano un po’ come il due di coppe. (LA FOTO ALL'INTERNO RIPRODUCE LA PM LETIZIA RUGGERI, MOLTO DISCUSSA NEL PROCESSO YARA-BOSSETTI).
Lo stesso governo, con i vari dicasteri, è un semplice esecutore di ordini impartiti da organi sovranazionali sia pubblici sia nascosti (logge, ordini “religiosi”, società segrete, agenzie di “intelligence”, ossia il complesso del “deep State”). ... (LEGGI TUTTO NEL LINK ANNESSO - CLICK QUI (Tanker Enemy)
e... a proposito della PM Letizia Ruggeri: la ritroviamo QUI. Se ne riporta solo un piccolo passo :"....Un altro apparato molto influente è la magistratura, tribunale dell’inquisizione che persegue gli psico-reati, mentre manda assolti i veri criminali. Le forze dell’ordine e l’esercito sono poi altri cardini della dominazione: sono il braccio armato della tirannide, come garanti della repressione.
Come dimenticare poi le strutture bancarie e le multinazionali che dettano l’agenda e ‘suggeriscono’ leggi e norme funzionali ai loro biechi scopi di profitto. Al cospetto di questi soggetti, partiti, movimenti e sindacati contano un po’ come il due di coppe. (LA FOTO ALL'INTERNO RIPRODUCE LA PM LETIZIA RUGGERI, MOLTO DISCUSSA NEL PROCESSO YARA-BOSSETTI).
Lo stesso governo, con i vari dicasteri, è un semplice esecutore di ordini impartiti da organi sovranazionali sia pubblici sia nascosti (logge, ordini “religiosi”, società segrete, agenzie di “intelligence”, ossia il complesso del “deep State”). ... (LEGGI TUTTO NEL LINK ANNESSO - CLICK QUI (Tanker Enemy)
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